Jpeg

Tirò su la zip della minigonna e un piccolo strappo la mise in allarme. Non voleva certo che proprio adesso si rompesse, avrebbe dovuto chiedere i soldi per comprarne una nuova e proprio non voleva.
Per adesso però sembrava reggere, poi si vedrà, pensò.
I tacchi alti, lo sapeva, le avrebbero fatto dolere i piedi, ma anche questi facevano parte della divisa del suo mestiere, e certo non erano la parte più faticosa.
Appena uscita il buio la avvolse come ogni notte, ma non lo sentiva nemico. L’oscurità rendeva tutto indefinito e sopratutto le impediva di guardare lontano, attività che da tempo aveva smesso di fare.
Centro metri scarsi di Lungarno nella periferia sud della città, un ripetersi infinito di asfalto, alberi e lampioni, era questo il suo regno fino a quando arrivava di nuovo la luce a schiarire i contorni della notte, e a inghiottire magicamente persone, cose e accadimenti.
Fino alla notte successiva.
Adesso però il suo turno stava iniziando e come sempre l’assaliva l’ansia. Un’ ansia in bilico tra la necessità di guadagnare per risparmiarsi almeno in parte rimproveri, botte e urla, e la voglia di scappare per risparmiare, invece, altri oltraggi al suo corpo. Questa era la soluzione che aveva trovato per sopravvivere: dividere il suo corpo dal resto di sé, quasi che la sua carne avesse vita indipendente dal cuore, dal cervello e anche dagli occhi, come si dice, “…lontano dagli occhi lontano dal cuore”.
Le auto sfrecciano, alcune veloci, altre lente; alla guida qualcuno alla ricerca di un fuggevole quanto illusorio svago, o forse solo di un modo per ribadire il proprio esistere in un mondo in cui lo spazio per essere se stessi è sempre più ristretto. Uomini alla ricerca di una affermazione che solo il denaro può donargli, un baratto che, finito l’ingannevole esiguo attimo di possesso, lascia di nuovo scontenti e vuoti.
Le ore trascorrono, a volte lente a volte veloci, nel girotondo vorticoso che pare infinito di facce, voci, corpi in movimento, mentre rimangono solo i nervi a tenere insieme ogni frammento del corpo, che è così costretto a resistere, a rimanere presente, almeno lui, nell’assenza completa dell’anima.
Finalmente  si intravedono le prime luci dell’alba e anche le auto della notte spariscono: chi può si ritira nella propria tana, poiché chiamarla casa, a volte, proprio non si può.
Il momento del passaggio di testimone tra la notte e il giorno porta una quiete momentanea, un piccolo respiro tra la vita notturna e il caos della mattina, quando cominciano a rincorrersi, senza soluzione di continuità, le  frenetiche attività quotidiane.
Il rientro a casa, come ogni alba, significava per lei riappropriarsi del proprio esistere, come tornare alla vita dopo una piccola/grande, quotidiana morte. Il rito dello spogliarsi sia dei vestiti che dei denari guadagnati, era il passaggio, il modo per rientrare in possesso di sé stessa, del suo esistere.
Gettarsi sul letto, sfinita e stanca nel corpo, era riaprire, finalmente, la chiave del lucchetto dell’anima, fino ad allora tenuta chiusa e nascosta in un ammasso aggrovigliato di cuore e cervello resi muti dalla necessità di resistere.
Fino alla notte successiva.

Da lettrice appassionata a scrittrice per passione: Fiorentina DOC lavoro per vivere ma scrivo per divertimento; la mia passione è raccontare storie di donne,e quindi, naturalmente, anche degli uomini con cui hanno a che fare...

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