Uno di quei colloqui in stile prova di abilità l’ho avuto anche io. Un sacco di domande e di test per più di mezz’ora, e il giorno dopo lo squillo il telefono. Una catena di articoli sportivi aveva scelto me, da maggio ad agosto e poi arrivederci (a Natale, o forse no, ecco a voi la generazione tappabuchi). Fui scelta, nonostante le mie scarsissime attitudini sportive, e stavo per accettare. Mi ero laureata da un mese e il giornale in cui lavoravo, il Nuovo Corriere di Firenze, aveva appena chiuso i battenti. Quei 600 euro al mese mi avrebbero fatto comodo, e all’estate potevo rinunciare. Tutto sembrava giusto, ma non andai. Scelsi il mio lavoro, quello mio per davvero, e non quello che mi avrebbe dato qualche soldo in più. Sapevo che andare a lavorare lì mi avrebbe rallentata, avrebbe danneggiato la mia professione, togliendomi tempo prezioso, tempo che avrei dovuto investire nel lavoro che amo. Il giornale che mi aveva fatto mettere la prima firma su carta aveva chiuso, e non vedevo un futuro roseo per il mio curriculum giornalistico, ma volevo comunque rischiare e provare a fare a meno di uno stipendio decente, concedermi il lusso di non concedermi lussi. Non sono una martire, semplicemente amo molto quello che faccio, e ho scelto di non togliergli tempo, di non abituarmi a guadagnare soldi con un altro mestiere. Rispetto chi fa una scelta diversa, un po’ per bisogno, un po’ perché si è stancato di provare, ma a fare un lavoro qualsiasi per avere due soldi, e quello che ami nel resto del tempo, rischi di non progredire mai. Io non mi sono pentita della mia scelta, lo rifarei ogni giorno, ma anche quella ha delle conseguenze. Come non vedere mai il mio conto corrente salire a quattro cifre. I soldi hanno sempre avuto poco peso nella mia vita, e so che posso tenere duro ancora, ma questo vuol dire non dover pensare all’articolo 18, o a dove metteranno il tfr, perché io non ho un posto di lavoro da difendere, ho solo una professione, e la speranza che le cose migliorino. E chi ci pensa a mettere su famiglia? Ho solo 25 anni, ma il prezzo da pagare per fare il lavoro che amo è di rischiare di non poterci pensare mai.
E’ tutto molto più complesso di quello che sembra, anche nella vita di una 25enne che sta facendo il lavoro dei suoi sogni.