Sono anni che non ho bisogno di programmare niente per il 25 aprile, non c’è pic-nic che tenga, quella è la giornata da passare in piazza Santo Spirito. Con l’ennesimo bicchiere rosso di plastica, i panini con l’arista, le fette di torta a un euro, gli amici e i conoscenti, il corteo pieno di fazzoletti rossi, Bella ciao, la pizza di Gustapizza e la stanchezza finale, quella che ti ricorda che il giorno dopo si lavora. E gli scalini, sì, anche gli scalini. Il giorno dopo il sindaco di questa città ha dovuto definire “ubriaconi” le persone che passano il tempo su scalini e sagrati delle chiese, dimostrando che neanche un primo cittadino in sede di conferenza stampa si prende la briga di fare qualche distinguo.
Ci son stata seduta per un paio d’ore a fine giornata sugli scalini di Santo Spirito, non ho bevuto niente (non che rendesse lecito definirmi un’ubriacona se avessi bevuto una birra), ma per l’appunto non l’ho fatto. Non ho rotto niente, non ho lasciato neanche un fazzoletto sporco in terra e la pipì l’ho fatta a casa. Intorno a me ci son state persone che non si sono comportate nel migliore dei modi, ma molte altre erano come me. Felici di una giornata passata con quel poco di persone con cui ti senti ancora di condividere qualcosa di importante, persone che non conosci ma che sai riconoscere come vicine. Tra di loro non ci sono quelle che hanno scritto sui muri del quartiere, con loro non mi sento di condividere niente, tranne il vestito nero che avevo addosso. Sono lontane da me. Quello che è successo non mi è piaciuto, ma questo non vuol dire che ci siano stati momenti in cui quel giorno mi sono sentita in pericolo, o inquieta, o preoccupata di qualcosa. Ho più paura ad attraversare a piedi via Lorenzo il Magnifico alle due del pomeriggio. Era la piazza lo spettacolo, il resto verrà dimenticato.