“Prima del sequestro stavamo cercando di sanare la situazione e avevamo trovato un compratore per il locale, stavamo quasi per concludere la vendita ma poi c’è stato il sequestro, e tutti si sono tirati indietro, perché nessuno vuole comprare un locale che deve chiudere alle 22. Non posso affermare con certezza che se non ci fosse stata questa situazione io ora non mi troverei sotto sfratto, ma certamente il sequestro non ha aiutato. La situazione è disperata, non lo dico per dire, tra la crisi e questi 40 giorni di chiusura siamo davvero arrivati agli ultimi euro. Io ho due figli di 8 e 11 anni, e da domani devo mettermi a cercare un lavoro”.
Queste sono le parole, del 30 gennaio scorso, di Trine West, ex titolare del Lochness Lounge di via de’ Benci, che due giorni dopo il dissequestro ha dovuto abbassare il bandone per sempre, dopo 18 anni. E’ la parola “chiuso” a farla da padrona in via de’ Benci. Chiuse sono state le saracinesche dei locali, chiuse sono le finestre dei residenti, e chiuse restano anche le opinioni delle parti in gioco, in una questione che resta delicata.
La mia età fa pensare che sia facile per me decidere da che parte stare, ma non è per i miei 24 anni che non simpatizzo per chi inneggia a notti più silenziose. E’ per l’abitudine che hanno a parlare di lavoro. Per la tendenza a dividere il mondo in chi lavora e chi si diverte. In chi fa tardi la sera e la mattina dorme e chi va a letto alle 23 perché la sveglia suona presto.
Io ho 24 anni, la sera spesso esco e magari rido a voce alta, in strada, dimenticandomi di chi è a letto. Ma la mattina dopo lavoro anche io. E lavorano le persone che stanno dietro ai banconi dei locali. Lavora anche Trine West. No, lavorava.
I residenti di via de’ Benci non sono i cattivi, e non penso che la chiusura dei locali sia quello che vogliono, ma è quello che succede, se si forza la mano, se ci si chiude nelle proprie convinzioni, se si perde la pazienza.
Se in questa vicenda vogliamo parlare di lavoro allora parliamo di questo, di chi non ce l’ha più.