Sono davanti al mio Mac. Seduta alla mia scrivania. Quella stessa scrivania che di giorno serve ai miei bimbi per fare i compiti e la sera – la notte – serviva a me per studiare. Ho passato qui gli ultimi tre anni e mezzo. A studiare di pedagogia, di didattica, di psicologia, di storia, di letteratura per l’infanzia.
Sono davanti al mio Mac a buttar giù qualche idea sparsa per la presentazione del mio lavoro di tesi. E mi tremano le mani per l’emozione. Penso a tutte le volte che ho varcato quel portone, al civico 48 di via Laura: al mattino presto, con il cuore in gola per via di quell’esame per cui avevo studiato ma non quanto avrei voluto. Il pomeriggio, di corsa, perché ero in ritardo per l’incontro di tirocinio. La sera, sempre di corsa, questa volta per la voglia di tornare a casa e godermi qualche minuto con i miei tre, prima di cena. E penso a tutte le volte che ho dovuto far lo slalom tra orde di parenti e amici venuti a festeggiare la laureata di turno.
“Ce la farò”. Ogni volta il pensiero era lo stesso.
E ora ci sono davvero. Io! Io con la mia tesi – niente di ché, ma è mia. Io con i miei bimbi e babbo Matte. Che sono stati la mia forza in questi anni di studio. Io e la mia famiglia allargata che ha fatto il tifo per me, sempre. Io e i miei venti quattrenni che mi chiamano “maestra” almeno una cinquantina di volte in un’ora soltanto. Io e chi c’è stato, magari un po’ in disparte, ma c’era. Io e questa commissione di accademici che un po’ mi mette paura ma in fondo neppure più di tanto. Venerdì diventerò dottoressa. Anzi: maestra. Ed è il regalo più bello che potessi farmi. Ecco!