Microspie, telecamere nascoste e microfoni direzionali hanno fatto il loro tempo. Gli strumenti di spionaggio d’antan, che hanno popolato le trame di libri e film per decenni, sono stati definitivamente soppiantati dagli oggetti di utilizzo quotidiano. A spiarci, secondo quanto rivelato da migliaia di file, relativi alla tecnologia di cui dispone la CIA, appena pubblicati da Wikileaks, sono (potenzialmente) i nostri cellulari, le nostre automobili, le nostre televisioni.

Il principio è, tutto sommato, semplice; banalizzando: se un dispositivo è connesso alla rete e utilizza un software qualsiasi per il proprio funzionamento, potenzialmente è possibile trovare una “falla” o sfruttare una backdoor per installare un malware con funzionalità di invio all’esterno di informazioni.

Sembra che sia stato possibile per la CIA, ad esempio, spiare cosa succedeva nei locali in cui erano presenti specifici modelli di smart TV, oltre ad intercettare contenuti di vario genere (telefonate, chat, messaggi, foto, etc.) scambiati da smartphone di tutte le tipologie e addirittura intromettersi nei sistemi informatici di alcuni modelli recenti di automobili.

È utile precisare che tali intromissioni sono potenzialmente possibili solamente se viene permesso ad un malware di “infettare” il dispositivo; mettendo in pratica le consuete attenzioni che l’utilizzo della tecnologia richiede, quindi, è possibile prevenire situazioni rischiose da questo punto di vista.

Barry Eisler, nel suo «L’occhio di Dio» (CreateSpace Independent Publishing Platform – 2016), descrive, sia pur con alcuni eccessi letterari, lo scenario di spionaggio tecnologico denunciato da Wikileaks. L’abbondanza di fonti ed articoli citati dallo scrittore americano nella bibliografia al termine del romanzo, cosa già di per sé anomala per una spy story, lascia supporre che le recenti rivelazioni di Wikileaks siano un segreto di Pulcinella.

Mi piace definirmi lombardo di origine, fiorentino di adozione. In realtà Firenze se ne è ben guardata dall’adottarmi. Non si è neppure sbilanciata su un affido. In sintesi, quindi, sono un apolide, con un accento da autogrill, che vive a Firenze da circa un quarto di secolo. Delle numerose passioni che coltivo, quella per la musica è il filo conduttore dei miei primi interventi su tuttafirenze, ma il mio ego ipertrofico e la mia proverbiale immodestia mi spingono ad esprimermi su qualunque argomento, con la certezza di riuscire a raggiungere vette non comuni di banalità e pressapochismo. I miei contributi hanno uno scopo ben preciso: rincuorare le altre firme, dando loro la consapevolezza che c’è sempre chi fa peggio.