Era una di quelle perfette serate fiorentine, in cui trovi parcheggio al primo colpo, in cui sei in orario e hai tempo per la cena prima del teatro e per la giratina dopo. Una serata così perfetta che hai avuto voglia di metterti una bella gonna, e un paio di scarpe rosse col tacco.
E’ stata la mia serata di sabato scorso, quando mi sono messa i tacchi per andare a teatro. Tra le abitudini e i vezzi femminili che si acquistano negli anni quella dei tacchi ancora non la padroneggio. Adoro ammirare le decollété di Carrie Bradshaw, ma ad indossarle non so sentirmi del tutto a mio agio. Sarà un pezzo di fanciullezza che voglio sentirmi ancora addosso, come a dire che c’è stato il tempo del rossetto, e ci sarà anche quello dei tacchi. Ma sabato, per Hotel Paradiso di Familie Flöz, ho pensato che potesse essere l’occasione giusta. È passato un anno da quanto andai a vedere il loro Garage d’Or, e scrissi qui su TuttaFirenze che dal mio palco, davanti a quelle maschere senza voce, mi sembrava di amare tutto il teatro.
E così è stato anche sabato. C’erano un sacco di bambini, e ridevano, ridevano forte. Ma non davano fastidio, la loro risata era confortante. Era quasi rilassante sentirli ridere davanti alle acrobazie degli attori in scena, mi faceva dimenticare tutte le brutte notizie che avevo scritto a lavoro, e quelle che avrei dovuto scrivere il giorno dopo. Omicidi, sfratti, furti, arresti, terremoti, per quell’ora e venti era tutto sparito, e anche le persone che alla notizia dell’accoltellamento di un ragazzo cinese commentavano “uno di meno”, non esistevano più, perché lì dentro c’erano genitori che avevano portato i loro figli a ridere a teatro. Un’ora e venti di sollievo da cinismo e ignoranza è concessa anche ad una giovane giornalista.
Era una serata perfetta, con l’aperitivo al Soul Kitchen, lo spettacolo al Verdi e il dolce alla Milkeria, nella mia Firenze piena dello struscio del sabato sera. E i miei tacchi rossi. E la pioggia, puntuale dopo il teatro, (e l’ombrello, in macchina), a ricordarmi che forse erano meglio gli stivali. E le parole di mio fratello che mi accompagnavano nel cammino verso la macchina: “Tu mi sembri Dorothy del Mago di Oz”. Ecco, appunto.