Forse l’aveva previsto anche Bob Dylan qualche anno prima del fatidico 4 novembre 1966. In una delle canzoni più intense e apocalittiche mai scritte dal profeta-menestrello futuro Nobel di Duluth. Si intitolava «A hard rain’s a gonna fall» e secondo quasi tutti i commentatori di allora − e anche per quelli venuti dopo − la dura pioggia era quella del fall-out atomico, la malefica acqua radioattiva che gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki avevano provato qualche anno prima sulla loro pelle. All’indomani dell’esplosione atomica. Del resto la canzone è stata scritta nel 1962, quando i missili a testata nucleare russi installati a Cuba puntavano dritti verso la Florida e la terza guerra mondiale sembrava a un passo.
Dylan però non ha mai avvallato questa interpretazione. E questo ci conforta perché sembra confermare i nostri sospetti che il Nostradamus del Minnesota avesse previsto la tragedia che, di lì a 4 anni, avrebbe sconvolto la vita degli abitanti di una delle città più belle del mondo. La dura pioggia era quella che per giorni e giorni avrebbe gonfiato il letto del fiume Arno. Finché, all’alba di un giorno di inizio novembre − per fortuna allora festivo − le acque, in un impeto di ribellione, si sarebbero riversate su Firenze sommergendola. Basta leggerlo, il testo della canzone: «Ho visto una scala bianca ricoperta di acqua» oppure «ho sentito il fragore di un tuono che urlava come un avvertimento» o ancora «ho sentito il fragore di un’onda così forte da sommergere il mondo intero».
Insomma sembra proprio che Dylan, in una delle sue liriche forse più belle, avesse previsto l’alluvione di Firenze del 1966. La tragedia dei corpi e delle coscienze, della storia e dei monumenti violentati da acqua lurida e melma, dei sogni infranti che per molti non si sarebbero mai più avverati. Quello che il cantautore non predisse furono la forza d’animo, il coraggio, la rabbia, la solidarietà che volava sulle ali degli angeli del fango. La speranza che, nei giorni e nei mesi successivi al dramma, sarebbe rinata dalla poltiglia melmosa lasciata dalle acque prima di rientrare nell’alveo del fiume.
Ma ai profeti non si può chiedere anche questo. In genere loro prevedono sventure e tragedie. Il resto appartiene agli uomini normali.