Domenica scorsa, rovistando in cucina, ho trovato mezzo sacchetto di farina gialla che ho rimesso via perché non avevo voglia di cucinarla. Alcuni giorni dopo, uscendo da lavoro, sono andato a prendere il 23 al capolinea davanti al Pignone.
Giorno uggioso, alle 17,30 le luci della città erano già accese, i fari delle macchine illuminavano una nebbiolina provocata da una leggera pioggia.
Insomma, un normale tardo pomeriggio autunnale. Intorno a me una variegata umanità si apprestava a prendere l’autobus. Molti, intenti a guardare o giocare con il cellulare, altri semplicemente immersi nei loro pensieri. Io non ero da meno, stavo usando il cellulare come radio e attraverso le cuffie ascoltavo il giornale radio in onda in quel momento.
Non so come, ma ascoltando l’ultima notizia sull’ennesimo straripamento, la memoria mi ha riportato ai giorni subito dopo l’alluvione del ‘66. Avevo 7 anni, facevo la seconda elementare ed ero stato fortunato perché a Legnaia, dove abitavo, la piena dell’Arno aveva solo lambito alcune strade. Ma il ricordo delle strade piene di fango in cui gli stivaletti affondavano, l’odore della fanghiglia ancora fresca e l’umido che ti penetrava nelle ossa, è riaffiorato nitido e reale come all’epoca.
Un rumore assordante mi ha distratto per un attimo dai miei pensieri: un enorme tir è entrato nel parcheggio del Pignone e una luce gialla ha illuminato il piazzale. Il giallo, il colore della farina che avevo trovato alcuni giorni prima, mi ha riportato alla mente quello che mia madre o mia nonna erano solite cucinare, proprio in quel periodo dell’anno: la farinata gialla. Piatto poverissimo ma sostanzioso, che si poteva arricchire con brodo di fagioli cannellini e cavolo nero. Il pane raffermo veniva tagliato a tocchettini e tostato in padella.
Non vi darò ora la ricetta, la farò nei prossimi giorni. Nel frattempo, però, se ne avete una voi, mandatemela!
Buon appetito in compagnia dei vostri ricordi
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