A Firenze ci sono tradizioni incrollabili, come quella dei “fochi” per la festa di San Giovanni. Nulla di male, ci mancherebbe, ma c’è chi tendenzialmente è asociale e non particolarmente attratto dall’idea di assieparsi insieme ad altre migliaia di persone lungo gli argini dell’Arno a “naso per aria”. Comprensibile: alla fine visti i “fochi” una volta (due, tre, dieci, …), sufficit.
Per chi non volesse fare il bastian contrario fino in fondo, in alternativa al rito di massa dei “fochi”, è possibile trovare un’occupazione per la sera del 24 che in qualche modo sia connessa ai fuochi d’artificio, anche se non all’insegna di un prorompente dinamismo o di un marcato spirito di socializzazione: un bel film alla tv sui fuochi d’artificio.
Per coerenza geografica si dovrebbe prendere in esame in prima istanza “Fuochi d’artificio” del 1997 di Leonardo Pieraccioni, ma non essendo, a detta di molti, uno dei film più riusciti dell’attore/regista toscano, si potrebbe cercare altro.
Per chi fosse sufficientemente attempato, una scelta alternativa potrebbe essere “Fuochi d’artificio” del 1938 con Amedeo Nazzari.
Una scelta fuori dal coro, ma decisamente in tema, potrebbe essere “Hana-bi”, letteralmente “fiori di fuoco”; film di Takeshi Kitano del 1997, vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia. Leggenda vuole che essendo uscito nello stesso anno del film di Pieraccioni, sia stato distribuito in Italia con il titolo originale e non con la traduzione “Fuochi d’artificio”.
Si dice spesso che un libro, un film o un disco possano cambiare la vita. Forse è un’affermazione eccessiva, ma sicuramente “Hana-bi” è il film che può cambiare la concezione che lo spettatore ha del cinema, che può cambiare il metro di giudizio sul linguaggio cinematografico o, semplicemente, che può emozionare e coinvolgere.
È un film poetico, a tratti struggente, violento oltre l’immaginabile e romantico in maniera ineguagliabile. Capace di alternare scene di violenza efferata a momenti di incredibile dolcezza, fedele alla sempiterna contrapposizione tra Eros e Thanatos. È un film costruito secondo canoni lontani dal cinema occidentale: movimenti di macchina molto limitati, dilatazione dei tempi delle singole inquadrature, quasi a voler trasformare le immagini in movimento in immagini statiche, il film in una sequenza di quadri; pochi dialoghi, spesso in forma quasi di monologhi. E sopra ad ogni cosa la capacità di raccontare le storie, di descrivere i legami tra i personaggi e di coinvolgere lo spettatore nelle vicende dei protagonisti, di stemperare il colore scuro del sangue nelle tonalità pastello dei quadri e dei paesaggi. In ultima analisi “Hana-bi” è una rappresentazione dell’amore fuori dai soliti schemi e luoghi comuni, l’amore reale, sofferto, profondo; l’amore dei perdenti, quello che dà un senso alla vita e, soprattutto, alla morte.