C’eravamo già stati a giugno. Era un giorno spaventoso, dal punto di vista climatico. Con un’umidità ben oltre i livelli di sopportabilità e un caldo soffocante. Ma un giorno perfetto per vedere le piante del giardino e delle serre tropicali, che nel caldo-umido si mostravano in tutto il loro splendore. All’Istituto Agronomico per l’Oltremare ci siamo tornati sabato 3 ottobre per degustare ancora una volta i meravigliosi caffè provenienti dalle montagne del Centro America: Nicaragua, Honduras, Guatemala, Costarica, El Salvador. Una bevanda il cui sapore è talvolta appiattito dalle macchine e da operatori inesperti, ma che qui sprigionava una miriade di aromi e profumi diversissimi tra loro.
Dopo esserci caffeinizzati a sufficienza − con lo sguardo rivolto su una collezione di caffettiere d’epoca − ci siamo addentrati nelle stanze dell’edificio, per l’occasione aperte al pubblico. Tra eleganti applique in vetro di Murano e semplici strumenti agricoli. Maestosità e rigore in pieno stile ventennio, testimoniate anche da album di carta scura con attaccate migliaia di vecchie foto rigorosamente catalogate con didascalie scritte a penna in caratteri svolazzanti. Poi, sempre guidati dal personale dell’Istituto, abbiamo attraversato corridoi e salito eleganti scalinate.
E siamo arrivati al piano superiore, dove si conserva una singolare testimonianza di quando l’Italia era un paese colonizzatore: tanti insetti provenienti dall’Africa. Scarabei, cavallette, farfalle, coleotteri ospitati in teche di vetro. Alcuni talmente mostruosi da non sperare mai di trovarseli sul muro di casa. Perfettamente conservati. A tutti però mancava una cosa fondamentale per farli sembrare vivi: il colore. Insomma abbiamo trascorso una giornata… in bianco e nero: il colore della colonizzazione, ma anche quello del caffè e degli insetti. Ma comunque una giornata da non dimenticare.