Gliel’ho chiesto io, perché dov’è scritto che dev’essere l’uomo ad invitar fuori la donna?! Gliel’ho chiesto io, perché avevo una gran voglia di stare con lui. Io e lui da soli.
“Ti va un gelato? Io e te”.
“E ci andiamo in bici, ti va?”.
Mi ha detto “sì!”, con quel suo sorriso emozionato che mi riempie il cuore, ogni volta.
E allora siamo io e lui: un fiore in testa e una maglietta rossa.
Una granita alla fragola e una al limone – lo so avevo detto gelato, ma lui ha scelto la granita anche per me!
Chiacchiere, scherzi e una passeggiata che vorrei non dimenticare mai.
Le strade del centro sono quasi deserte, non me l’aspettavo. Il profumo del bucato steso si mischia a quello che arriva dalla porta aperta del kebabbaro di via Cavallotti. Il ciabattio svogliato del sessantenne che porta il cane a passeggio si mischia alle grida dei bambini che giocano e corrono in piazza IV Novembre. E io sono con lui. Lui che tira su, con la cannuccia, la sua granita – ecchisenefrega se quel rumore non si fa. Lui che chiacchiera a macchinetta, mi chiede, mi corregge, mi racconta. Lui e i suoi “cioè, capito?”. Lui e i suoi cinque anni e mezzo.
Siamo noi due soli, come non succede mai. Noi due, che tornando a casa, in bici, giochiamo a girare attorno alle rotonde. E girare e ridere. E giare ancora e poi:
“Mamma, daiiii”.
“Dai Pietro, si fa il girotondo della rotonda!”.
“Ma se arriva una macchina?”.
Le strade sono deserte. Le rotonde pure.
“Ti voglio bene, scricciolo”.
È una calda sera di metà luglio fiorentino.
“Anch’io, mamma”.
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