Il declino dell’industria discografica sul finire degli anni ottanta era stato perfettamente sintetizzato da Frank Zappa, che sosteneva che l’offerta di musica sperimentale e rivoluzionaria, a cavallo degli anni sessanta e settanta, era stata merito del fatto che i discografici, non capendola, la pubblicavano senza sapere se avrebbe avuto successo di vendite o meno. I discografici dell’epoca, secondo Zappa, erano anziani col sigaro che non pretendevano che la musica piacesse a loro, ma si limitavano a veicolarla verso un mercato che solo successivamente avrebbe fornito il proprio responso.
I problemi, a suo modo di vedere, sono nati quando, a fronte di successi di vendita inaspettati, i discografici hanno cominciato a cercare il successo e, non sapendo come avrebbero potuto ottenerlo, si sono affidati a figure che conoscessero i gusti del pubblico. Il mercato discografico si è così subordinato al giudizio di giovani talent scout che decidevano di veicolare musica che piaceva a loro; in quanto rappresentanti del pubblico a cui era rivolta, ne potevano ragionevolmente garantire il successo.
In tal senso l’industria discografica ha smesso di rischiare e ha innescato un processo involutivo dannoso per la creatività.
I giovani, in questo quadro, si sono rivelati più conservatori e dannosi per l’arte rispetto agli anziani col sigaro.
Chissà cosa direbbe Zappa, se fosse ancora vivo, dello scenario musicale che si va delineando oggi, nel quale non saranno neppure più i giovani talent scout a scegliere la musica da proporre, ma gli algoritmi.
È l’intelligenza artificiale, infatti, la nuova frontiera del mercato discografico: analizzare i gusti degli ascoltatori per veicolare musica che si vuole sapere a priori quanto successo avrà.
In quest’ottica si comprende meglio l’acquisizione da parte di Apple qualche mese fa di Shazam e recentemente di Asaii.
Se la app Shazam, in grado di riconoscere da poche note qualunque brano musicale, è conosciuta da tutti, meno nota è la startup Asaii, che scopre, traccia e gestisce la musica più apprezzata usando sofisticate tecniche di machine learning.
Lo scopo di Apple è quello di ottimizzare, in maniera mirata ed efficace, i suggerimenti di ascolto ai propri clienti, incrociando gusti del singolo e big data.
Più in generale l’utilizzo dell’intelligenza artificiale in ambito discografico, permette(rà) di ridurre i costi e di massimizzare i profitti nella gestione di artisti, nell’organizzazione di concerti e nella promozione.
Il rischio concreto, però, è che si inneschi un circolo vizioso, nel quale il mercato veicolerà la musica che piace al pubblico che, ascoltandola, a sua volta rafforzerà le proposte nel medesimo ambito. Un’autoreferenzialità che appiattirà e svilirà l’offerta.
C’è chi azzarda anche ipotesi più orwelliane, che vedono l’intelligenza artificiale analizzare la musica di successo per individuarne le caratteristiche e riproporle in forma originale: algoritmi che scrivono brani musicali nuovi dal successo assicurato; con buona pace dei Kraftwerk, che, proprio in piena avanguardia elettronica di quegli anni settanta, di cui raccontava Zappa nella sua analisi, lo profetizzavano
Zappa rileverebbe che anche in questi scenari, come nel caso dei giovani talent scout degli anni ottanta, il problema è che gli algoritmi non sono anziani col sigaro.