Il Tour de France è iniziato.
Per gli italiani è il sogno sportivo dell’estate, quando il calcio dorme e pigramente si risveglia nei ritiri alpini, un sogno realizzato solo dieci volte in centotré anni;
è Bottecchia, Botescià per i francesi, allampanato alpino del Friuli, irresistibile in salita, che si veste di giallo nel 1924 e nel 1925 e poi muore sul ciglio della strada di Peonis, forse per mano dei fascisti;
è “i francesi che s’incazzano” e la vittoria di Bartali ascoltata alla radio dei bar nel 1948, che distrae il popolo comunista ferito nel suo capo e forse pronto alla rivolta;
è Fausto Coppi, il Fostò dei francesi innamorati di lui, che nel 1949 e nel 1952 lo illumina con la sua classe cristallina, lo schiaccia con la prepotenza del campionissimo;
è Gastone Nencini da Bilancino, che i francesi chiamano “Nuvola Gialla”, che nel 1960 si butta in discesa, è il povero Riviere che si fracassa dentro un burrone per stargli dietro, è De Gaulle che straccia il protocollo e ferma la corsa per stringergli la mano;
è il giovane Felice Gimondi, bergamasco di poche parole, che lo vince nel 1965, prima che inizi l’era di Merckx il Cannibale;
è Marco Pantani, detto il Pirata, che riconquista per noi Parigi trentatré anni dopo, facendoci piangere di gioia, un gigante sulle montagne, un esile ragazzo sul podio degli Champs Elisées;
è lo Squalo Nibali, siciliano di Toscana, ultimo tricolore vincente al di là delle Alpi;
il Tour è il vento del Nord;
è la graticola di luglio;
è le salite che non finiscono mai;
è le Alpi e i Pirenei;
è la Grande Boucle, il grande ricciolo sempre uguale a se stesso;
è i francesi che ci vanno in vacanza con i camper, i bambini e i cani;
è il 14 luglio, che vince sempre un francese;
è Parigi, è l’Arc de Trionphe, la gloria o le lacrime.
Il Tour…è il Tour.
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