Ho ben presente l’enumerazione di Umberto Eco, anche pagine e pagine, o la descrizione opulenta di Gadda, pure i lunghi paragrafi di Joyce, o le estenuanti pellegrinazioni grammaticali di Baudelaire, come ho ben presente la splendida mano di Melville, assaporata in tante splendide letture. Ma mai mi sarei aspettato un testo così particolare come questo in analisi.
La storia è quasi assente, riducendosi ad una serie di incontri che avvengono sul battello Fidele in navigazione sul Mississipi. Il battello è occupato da una umanità varia e variegata, passando dal nobile, all’avvocato, all’imprenditore, per arrivare all’imbonitore, al commerciante, al cacciatore, al mendicante, all’ubriacone. Questo florilegio di persone è vagliato attraverso dei dialoghi, solo a volte a tre voci, dove la chiave di volta è la trattazione della fiducia o dell’indifferenza. Per il resto la storia, appunto una storia, proprio non c’è. Non c’è un momento di suspense né di azione vera e propria, non ci sono né storie d’amore né contrasti con un antagonista. Non ci sono nodi da sciogliere né indagini psicologiche sui vari personaggi.
Non bastasse tutto questo il testo è una lunghissima ipotassi che sfinirebbe il più paziente dei lettori. Qui non si tratta di pagine su pagine, è in realtà tutto il libro che si veste di infinite coordinate e subordinate. Quattrocento pagine di elucubrazioni intorno ai due concetti di fiducia ed indifferenza.
Pur amando Melville, questa opera, l’ultima scritta dall’autore prima di morire, è veramente indecifrabile, monotona e noiosa oltre ogni ragionevole dubbio. Personalmente ho fatto veramente fatica a raggiungere l’ultima pagina.
Se lo conosci lo eviti!!!
Edizione commentata
Herman Melville, Il truffatore di fiducia, Cavallo di ferro Editore, Roma, 2014