Uno degli aspetti più graditi agli utilizzatori delle varie app di messaggistica è la cifratura dei messaggi, che permette di avere un elevato grado di sicurezza nelle proprie chat, offrendo una protezione da intercettazioni indesiderate.
Questa caratteristica non risulta, però, particolarmente gradita al Roskomnadzor, il Servizio Federale per la supervisione delle comunicazioni russo, che ha formalmente richiesto a Telegram (la nona app di messaggistica più utilizzata al mondo) di fornire al FSB (ex KGB), il servizio segreto russo, le chiavi per decriptare i messaggi degli utenti, con buona pace della libertà o anche solo della privacy.
Dal 2016 in Russia è in vigore una legge (teoricamente intesa come misura antiterrorismo) che impone a tutti i servizi di messaggistica di fornire alle autorità gli strumenti per decriptare la corrispondenza tra gli utenti.
Dopo il fermo rifiuto da parte di Pavel Durov, fondatore di Telegram, di fornirle, è stato messo in atto, a partire dal 16 aprile, il blocco dell’utilizzo della app indirizzato a tutti i 15 milioni di cittadini russi che la utilizzavano.
Non ritenendo la misura sufficiente, il Roskomnadzor ha avanzato anche una formale richiesta agli store di applicazioni per eliminare Telegram dall’elenco delle app scaricabili, in modo tale che non venga data neppure ai cittadini russi la possibilità di scaricare l’applicazione.
In attesa che l’inevitabile strascico legale della questione si dipani nei vari gradi di giudizio in tribunale, Telegram sta valutando come implementare servizi di proxy e Vpn che permettano di aggirare il blocco.
Una guerra tecnologica che assume i contorni di una lotta per la difesa dei principi di libertà (o, forse, degli interessi economici legati ai dati dei 15 milioni di utilizzatori).