Sono un’insegnante di una scuola superiore. La riforma ha previsto molte ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro, 200 nei licei e 400 nei tecnici e nei professionali nell’arco di un triennio. A me sembra un’esagerazione, non abbiamo più il tempo per svolgere i programmi. E poi il nostro compito non è quello di addestrare i ragazzi. Luciana
Gentile Luciana, la questione dell’alternanza scuola-lavoro divide molto il mondo della scuola. Spesso capita di trovarsi di fronte a posizioni integraliste, che non aiutano il confronto. Da una parte c’è chi ritiene che la scuola debba svolgere unicamente un ruolo culturale e non misurarsi con il mondo del lavoro, specie nei licei. Dall’altra chi crede che dovrebbe essere il mercato a dire alla scuola di cosa ha bisogno, definendone i programmi ed i contenuti. I primi vedono il tempo dedicato all’alternanza scuola-lavoro (tirocini, stages, attività di formazione, ecc.) come tempo perso, sottratto alla didattica curriculare, che indebolisce la preparazione dei ragazzi. I secondi considerano la scuola troppo lontana dalla realtà economico-sociale e ritengono che bisognerebbe investire più energie per preparare i ragazzi al loro futuro occupazionale.
C’è poi un altro punto. Quando consentire ai ragazzi che hanno poca voglia di studiare di deviare dall’obbligo scolastico e prendere la strada che li porta al lavoro? A 14 anni? A 16? A 18? C’è chi sostiene che dovremmo tenerli a scuola il più possibile, cercando di motivarli e quindi parlare di scuola-lavoro troppo presto significa rinunciare al nostro dovere di offrire una preparazione dignitosa a tutti. Altri pensano che tenere a scuola ragazzi che non ci vogliono stare sia un inutile sacrificio per tutti, per loro e per gli altri.
La mia personale opinione è che la riforma abbia previsto troppe ore di alternanza scuola-lavoro, creando una situazione difficile in molti istituti che non trovano un numero sufficiente di aziende disponibili. Ma non c’è dubbio che nelle scuole e nelle Università si segua un approccio troppo astratto. Non è possibile che studenti di medicina si laureino senza aver visto quasi mai un ospedale o che ragazzi di un liceo scientifico non conoscano gli istituti di ricerca o le società che operano nell’ambito delle discipline che studiano. Ci sono, per esempio, studenti che vanno all’estero per alcune settimane a fare esperienza di stage e tornano avendo arricchito enormemente le loro competenze relazionali, economiche, linguistiche, culturali. Altro che tempo perso o sottratto alla scuola. Non possiamo misurare l’efficacia di un percorso di formazione dal numero di pagine di un libro di testo che sono state lette, ma dalla quantità e dalla ricchezza delle esperienze che gli abbiamo consentito di fare.