Sono un’insegnante della scuola media. Questo è il tempo delle gite scolastiche, ma io non me la sento più di accompagnare i ragazzi. Ci sono troppe responsabilità. E poi con i genitori di oggi le cose sono ancora più difficili perché sono molto ansiosi e per una sciocchezza sono pronti a sporgere denuncia. Mi dispiace per gli studenti, ma il gioco non vale la candela. Laura
Gentile Laura, comprendo bene il suo stato d’animo. Sono sempre di più gli insegnanti che decidono di non accompagnare i ragazzi ai viaggi di istruzione, che per questo motivo alcune volte non si possono nemmeno realizzare. Ed è un peccato, perché si tratta, per molti motivi, di esperienze importanti nella formazione di un ragazzo. Pensi solo al valore che hanno i soggiorni all’estero in un liceo linguistico. Ma è vero che il clima che si è creato nella scuola non aiuta. Lo Stato non dà più nessun riconoscimento economico ai docenti e le famiglie creano spesso una pressione eccessiva sugli insegnanti. Però una considerazione credo sia necessaria.
Se dovessimo pensare di non fare più le attività che presentano dei rischi, ci rimarrebbero poche cose, nella vita e nel lavoro. E anche chi fa educazione deve avere il coraggio di assumersi dei rischi. L’insegnante che “non se la sente” fa bene a non accompagnare i ragazzi, per evitare di far ricadere su di loro la propria ansia. Ma non possiamo tutti cedere alla paura delle responsabilità. Oltretutto, per chi riesce a viverli serenamente, i viaggi di istruzione sono un’esperienza bella e intensa, che rafforza il legame con gli studenti e, non a caso, rimane a lungo nella memoria di tutti. Per questo motivo, mi permetto di invitarla a considerare che, con la sua rinuncia, si priva di un rischio, ma forse anche di un piacere. E poi, come dice un proverbio cinese, “non ci si può rifiutare di mangiare solo perché c’è il rischio di restare soffocato”.