Ritrovarsi a finire la giornata guardando un calice ormai vuoto quando, un attimo prima, conteneva un vino bianco, l’Ortrugo, colore giallo paglierino e profumi complessi, dove i frutti maturi ormai avevano preso il sopravvento sul floreale e l’erbaceo.
La bassa Padana tutta intorno, un castello di confine trasformato in ristorante e albergo e la via Emilia che lo fiancheggia. In mente mi risuonano le parole di “Piccola Città”, di Guccini:
“…gli occhi guardavano voi, ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia,
correva la fantasia verso la prateria, fra la via Emilia e il West… “
Primi di febbraio, tre giorni di riposo. La voglia di conoscere meglio il nostro territorio e di viaggiare, mi ha portato a girovagare per la bassa Padana, alla scoperta della storia e delle abitudini alimentari di quel territorio. La città di riferimento è stata Piacenza, scelta non proprio casuale, perché in ufficio è arrivata una collega originaria di quella città. Chiacchierare di cucina, è una delle cose che so fare meglio e, stimolato dal racconto di piatti tipici piacentini, il passo è stato breve: tre giorni on the road.
Piacenza è una bella città, compresa tra il Po e l’Appennino, tra pianura e collina, con campi arati a perdita d’occhio e dolci colline disseminate di vigneti. I sapori della sua cucina ci restituiscono una tradizione antica e autentica, basti pensare ai piatti tipici come lo gnocco fritto, accompagnato dai salumi locali, la Tartare di Cavallo alla Piacentina, i Pisarei e Fasö, la Trippa di Manzo alla Piacentina, la Piccola di Cavallo, lo Stracotto d’Asina con Polenta e molti altri ancora. Piatti antichi dal sapore semplice ma prelibato. Piatti che mi riportano all’infanzia, con la voce di mia madre che, mettendo in tavola una braciolina di carne di cavallo all’olio, mi ripeteva “mangiala, ti fa bene, fa sangue, così cresci più forte”. L’idea non mi piaceva, ma poi, la fretta di crescere era più forte del pensiero al povero cavallo, e finivo per mangiarla.
Il viaggio, però, non finisce qui, anzi, un’altra cosa interessante che ho scoperto è altro. Un sapore ancora più antico, che da sempre ci aiuta a crescere, ma che oggi ha perso molte delle sue caratteristiche originarie: il latte. Ma di questo ne riparleremo.
A proposito dell’Ortrugo: da vitigno Ortrugo, autoctono dei Colli Piacentini, se riuscite a trovarlo ve lo consiglio, soprattutto abbinato ai tortelli o alle crespelle, ripieni di spinaci e ricotta.
La prima fattoria che riprese la vinificazione dell’Ortrugo è stata Azienda Mossi, e devo dire che è anche il miglior Ortrugo che ho bevuto.
A presto.