“Prima gli italiani” è uno slogan che ha caratterizzato l’ultimo anno della scena politica, ma di recente è stato declinato in maniera a dir poco inconsueta: “prima la musica italiana”.
Alessandro Morelli, presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania, ha depositato una proposta di legge intitolata «Disposizioni in materia di programmazione radiofonica della produzione musicale italiana» contenente una direttiva a dir poco inusuale: imporre a tutte le emittenti radiofoniche una quota minima di musica italiana.
Secondo il testo della norma, tutte le reti pubbliche o private dovrebbero riservare almeno un terzo della programmazione alla musica italiana. Nello specifico viene precisato che con l’espressione “musica italiana” ci si riferirebbe a «produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione».
Allo stato attuale, secondo i dati forniti dalla SIAE, la quota di musica italiana nella programmazione delle maggiori emittenti radiofoniche è variabile: due delle tre radio più ascoltate (e quattro tra le prime dieci) già trasmettono una quota di musica italiana “a norma”. L’impatto di un’eventuale direttiva “protezionistica” interesserebbe, in misura variabile, sei delle dieci emittenti più ascoltate e, si suppone, una significativa quota di quelle non incluse tra le prime dieci.
Secondo l’estensore della norma, la lingua italiana sarebbe comunque il fattore determinante nella classificazione della tipologia musicale, con buona pace di artisti nazionali come Elisa o la PFM, giusto per fare due nomi diametralmente opposti che hanno scelto l’inglese per diverse proprie canzoni, che si troverebbero ad essere considerati musica italiana o meno a seconda del brano che viene programmato.
Julio Iglesias, che è italiano come la paella, verrebbe ad essere considerato “gloria nazionale” quando venissero programmati i suoi tormentoni d’antan nella lingua di Dante?
Non pago di imporre l’idioma della musica da ascoltare, Morelli si spinge a precisare che una fetta di programmazione dovrebbe essere riservata agli artisti emergenti, a cui andrebbe almeno il 10 per cento della programmazione autoctona.
Ci si augura che non vengano introdotte anche norme specifiche di adeguamento a quota 100, eliminando dalla programmazione gli artisti la cui somma di età anagrafica ed età lavorativa superi tale limite.
In attesa di ulteriori proposte (musica di cittadinanza?) ci si diverte a leggere i commenti e le polemiche che questa iniziativa ha sollevato, nella certezza che sia destinata ad un meritato oblio.