Quando eravamo giovani, ma giovani davvero, classificare l’età era decisamente più semplice. Con qualche inevitabile incertezza nelle zone di confine, era comunque piuttosto semplice distinguere tra “bambini”, “adolescenti”, “giovani”, “adulti” e “anziani”.
Negli ultimi anni le fasce d’età si sono evolute, dilatate o ristrette a seconda delle necessità, e si sono arricchite più loro di sfumature che il PD di correnti.
Fino a pochi anni fa definire “giovane” un cinquantenne era quasi un’eresia; oggi non solo avviene con una disarmante frequenza, ma è perfino giustificabile dal punto di vista lessicale.
In un’epoca di “bamboccioni”, che abbandonano la famiglia d’origine alla soglia degli “anta”, è stato necessario riformulare concetti e ritarare gli aggettivi.
I demografi, nel tentativo di fotografare una società in continua evoluzione, hanno sentito la necessità di introdurre nuove fasce d’età. Ecco così nascere i giovani (21-25 anni), i giovani adulti (26-34 anni), gli adulti “veri” (35-54), i tardo-adulti (55-64 anni), i giovani anziani (65-75 anni), gli anziani (76-84 anni) e i grandi anziani (>85 anni).
Gioisce la Fornero, che trova nella nuova classificazione una conferma della sua convinzione, che in pensione ci debbano andare solo gli anziani. Gioiscono un po’ meno i giovani (quelli veri) che, a caccia di un impiego, devono mettersi nell’ordine di idee che la pensione non può certo essere un privilegio per tardo-adulti; caso mai per giovani anziani (a crederci) o per “veri” anziani.
C’è chi apprezza gli ossimori, per cui ambisce ad entrare al più presto nella fascia dei giovani anziani, e chi è scettico di fronte all’immagine che evoca l’espressione “tardo-adulti”, evidenziando che “tardo” sarà anche un aggettivo qualificativo, ma non è molto qualificante.
L’errore che non si deve compiere è quello di confondere descrizione e contenuto. Gli adulti alle prese con la partitina di calcetto, in questo contesto, devono porre più l’accento sull’aspetto sostanziale che non sull’aspetto lessicale: adulti per i demografi, ma ben oltre per gli ortopedici.
È probabile che in futuro si debbano creare ulteriori suddivisioni per adeguarsi all’evoluzione dei costumi. Non ci sarà da stupirsi se nel giro di qualche lustro le classificazioni aumenteranno: i giovani (21-25 anni), i giovani quasi-adulti (26-30 anni), i giovani adulti (31-35 anni), gli adulti ancora-giovani (36-40 anni), gli adulti che-si-sentono-giovani (41-45 anni), gli adulti che-il-fisico-non-è-più-giovane (46-50 anni), gli adulti (51-55 anni), gli adulti si-fa-per-dire (56-60 anni), i tardo-adulti (61-65), i tardissimo-adulti (66-70 anni), i quasi-anziani (76-80 anni), gli anziani (81-85 anni), i grandi anziani (86-89 anni), gli anziani rintronati (90-95 anni), gli anziani ho-dato-tutto (96-100 anni) e gli highlander (>100 anni).
Il vantaggio, a ben vedere, è per i nati negli anni sessanta, che man mano procedono con l’età di fatto non invecchiano mai, perché i demografi spostano sempre in avanti il limite della loro vecchiaia. Questi fortunati possono permettersi il lusso di dire di essere (stati) giovani per svariate decadi, acciacchi permettendo.
