A Firenze c’è una biblioteca che è diversa da tutte le altre. È un soppalco, in cima ad una scala a chiocciola. Si affaccia su una ludoteca che affaccia su un tetto che in realtà è un giardino. È la biblioteca del Meyer: una biblioteca speciale per bimbi speciali.
Le bibliotecarie con il camice giallo, girano i reparti con un carrellino stracolmo di libri. Sono le volontarie Helios. Bussano piano, ad una porta semichiusa. Entrano in punta di piedi. Ed un sorriso.
“Mamma, lo vuoi prendere un librino per questo piccino”.
Che domande: sì!
Anzi, no: uno non ci basta.
Sceglie lui – il piccino. Mette insieme gli albi più diversi. E poi pesca “Pierino e il Lupo”. E il “Piccolo Grogo coraggioso”.
“Mamma, legge!”.
E io leggo.
“Ancoa”.
Di nuovo.
“Ancoa”.
E ancora. E ancora.
Poi i libri ci servono anche come base dura per far andare le macchinine. E di nuovo li rileggiamo. Fino a saperli a memoria. Fino al momento in cui la dottoressa ci dice “Mamma, prepara le cose di questo piccino. Andate a casa!”.
È l’ultima cosa che facciamo prima di lasciare l’ospedale: restituire i libri in biblioteca!
“Per attri mimmi”, mi dice lui.
“E per altre mamme”, gli dico io.
L’ho rivisto in mano ad un bimba, l’altro giorno, il “Piccolo Grogo coraggioso”, ai giardini. E in un secondo mi sono tornati alla mente quei giorni d’ospedale. Il suo sorriso dalla maschera d’ossigeno. Le tende arancioni, Le sue chiacchiere da treenne con gli altri bimbi del reparto. Pigiamini di ogni tipo. Mi si è riempito il cuore. Tenerezza.
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