“Allora, Franci: com’è la mostra?”.
“La mostra?”.
“Ma dai: Picasso a Palazzo Strozzi! Non siete andati tutti e cinque, qualche settimana fa?
“Sì! Tutti e cinque: mamma, babbo, due cinquenni, un treenne. E poi c’erano anche il mio raffreddore, le lenti a contatto che mi davano fastidio, uno zaino e una valigia – quella del Museo! Quella per i bambini”.
“E allora, com’è?”
“E allora è stato incredibile: in tutto quel bailamme di estimatori d’arte noi abbiamo giocato alla caccia al tesoro, abbiamo improvvisato uno spettacolo di marionette. Abbiamo fatto una scultura. Ci siamo spaventati ben bene, entrando nella sala scura dei mostri. Quella sala nera e buia, con decine di mostri, schizzati o dipinti su altrettante tele. Spaventosi! Poi abbiamo disegnato, siamo passati gattonando sotto le gambe di tre o quattro turisti giapponesi che non hanno battuto ciglio. E poi io ho posato per un ritratto. Beh, quello è stato il momento che in assoluto ho preferito! Io davanti a lui. Lui che fa il serio. Io che sono felice e basta. E mi metto in posa. E poi mi scappa da ridere. Lui mi guarda storto e poi ride. Rumoroso, come ride lui! E io lo adoro.
“Mammaaaaaaaa, dici che io fatto Picazzo?”.
“Sì, Giovanni anche te hai fatto Picasso! Ma si dice con la esse”.
“Picazzo, zì! Col naso ttotto”.
“Col naso storto, sì?”.
“Picazzo!”.
“Ok forse è stata una visita un po’ “movimentata” e non è che io abbia visto granché. Però: noi cinque, la valigia del museo, quei visi storti… Evviva Picassso, ecco!”.
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