
Buongiorno, sono un’insegnante e le scrivo per esprimere la fatica di chi lavora nella scuola. Lo Stato non ci aiuta, le classi sono troppo numerose e gli stipendi sono indecenti. I ragazzi poi sono sempre più indisciplinati e con poca voglia di studiare. E le riforme non vanno mai nella direzione giusta perché non si preoccupano della cosa più importante: il benessere degli insegnanti. Io ormai non vedo l’ora di andare in pensione. Silvia
Lei ha ragione e tutti dovremmo interrogarci sulla stanchezza degli insegnanti, che poi inevitabilmente si ripercuote sull’educazione dei ragazzi. Ma che facciamo? Ha senso continuare a lamentarci? Forse potremmo innanzitutto agire politicamente, interloquendo con il Governo e le amministrazioni locali per arrivare a riforme che producano effettivi miglioramenti per tutti. E poi le scuole, anche nelle condizioni date, possono cercare di valorizzare la loro autonomia, realizzando quei cambiamenti che favoriscono il benessere di chi vive a scuola.
Gli esempi possono essere molti. Creare una comunità in cui si promuovono, con scelte precise, accoglienza e confronto. Evitare da parte del preside, se non in casi strettamente necessari, atteggiamenti ispettivi o repressivi nei confronti di docenti e personale Ata. Riconoscere i diritti di chi lavora a scuola e tenere conto delle esigenze personali. Attivare sportelli psicologici di aiuto. Fare formazione su ambiti legati alle relazioni interpersonali. Andare incontro alle richieste dei docenti di carattere organizzativo o didattico.
Ma c’è un punto fondamentale da tenere presente. Si possono ritrovare motivazioni ed energie che riducono la fatica dello stare a scuola solo se si è disponibili a rimettersi in gioco, cercando strade nuove nella didattica e nelle relazioni con i ragazzi. Altrimenti, se si cede alla tentazione di ripetere negli anni la solita ruotine, ci si troverà sempre più distanti dagli studenti e dal mondo circostante. E la fatica, inevitabilmente, aumenterà.