Il selfie è quasi sempre una innocua manifestazione di narcisismo, quindi va da sé che l’autoscatto (così si chiamava in epoca analogica) debba essere condiviso con il maggior numero di persone possibile. Nulla di male, se non fosse che spesso la ricerca di originalità e spettacolarità del selfie spinge qualcuno a correre rischi per fare uno scatto fuori dal comune.
A volte troppo.
Sono infatti 252 i morti “ufficiali” per selfie dal 2011 a livello planetario. Il numero di decessi è stato calcolato dai ricercatori dell’Istituto indiano delle scienze mediche in un articolo pubblicato sul Journal of Family Medicine and Primary Care dell’All India Institute of Medical Sciences.
I ricercatori indiani hanno spulciato la rete a caccia di notizie specifiche di morti che evidenziassero condizioni compatibili con quelle dello studio. Questa precisazione è importante, perché permette di identificare la cifra dei decessi come una sottostima rispetto ai decessi reali, dato che casistiche in cui all’origine ci fosse un comportamento avventato mentre ci si faceva un selfie, ma che non sono state descritte negli articoli come “morti da selfie”, non sono state incluse (ad esempio morti catalogate come conseguenza di incidenti stradali).
L’esigenza di una simile ricerca è nata in India, perché è la nazione che detiene il triste primato del maggior numero di “morti da selfie” al mondo, con oltre la metà dei decessi (159 su 252). A fronte dei risultati di tale ricerca, il governo ha già introdotto specifici divieti di scattare e scattarsi fotografie in una ventina di zone costiere di Goa, regione nella quale il fenomeno di turisti morti travolti dalle onde dell’Oceano nel tentativo di farsi un selfie ha avuto un’incidenza particolare.
Russia, Usa e Pakistan seguono l’India in questa macabra classifica. La maggior parte delle morti è dovuta ad annegamento. La seconda causa di “morte da selfie” è, più comprensibilmente, l’incidente con mezzi di trasporto, ma non automobili, come ci si potrebbe attendere, bensì con treni in movimento. Cadute, incendi, scosse elettriche sono le altre più comuni cause di “morte da selfie”. Una citazione particolare meritano otto casi di persone che hanno perso la vita mentre si facevano un selfie, o meglio provavano a farselo, con animali pericolosi. Gli Stati Uniti primeggiano invece per le “morti da selfie” con armi da fuoco, dato che per spararsi inavvertitamente durante uno scatto è necessario che ci sia una certa libertà nella circolazione delle armi.
Un’annotazione che probabilmente non stupirà il gentil sesso: tre quarti dei “morti da selfie” sono maschi (età media 23 anni), nonostante statisticamente siano più le donne a scattarsi selfie rispetto agli uomini. Non è una prova scientifica che, in generale, l’uomo abbia meno cervello della donna, ma il sospetto si insinua.
Le categorie più colpite sono i giovani (forse perché i diversamente giovani sono meno soggetti al narcisismo da selfie) e i turisti (forse perché la voglia di scattarsi un selfie alla fermata dell’autobus ad Abbiategrasso mentre si va al lavoro è sensibilmente inferiore rispetto a quella che si ha alla fermata di un autobus in Oxford Street a Londra mentre si è in vacanza).
Gli autori della ricerca identificano la necessità di istituire zone no-selfie in posti rischiosi come corsi d’acqua, picchi e edifici alti. In realtà la necessità sarebbe quella di riuscire a trovare il modo di instillare un po’ di buon senso in una molteplicità di soggetti che ne accusano una dotazione standard inferiore al minimo sindacale.
A quel punto i benefici andrebbero ben oltre la riduzione del numero di “morti da selfie”.