
Mens sana in corpore sano non era certo quello che gli era capitato, aveva la schiena sghemba e più corta una gamba.
Dio gli donò un cervello, ma poco, e la poliomelite; però voleva divertirsi Dio, e a quel ricciolino nero donò la magia del futbòl.
Un passerotto per come era gracile, per come si muoveva; ma col pallone sapeva far tutto, era un luna park sempre aperto.
La gente impazziva a vederlo, e gli avversari a non prenderlo mai; tutti lo chiamavano “la gioia del popolo” ed erano felici a vederlo giocare.
Lui i soldi li buttava, le donne le amava; ebbe quattordici figli da Nair, Iraci, da Elsa Soares, la cantante, e da una giovane svedese, amata una notte.
Dopo un milione di finte e due Mondiali vinti, le sue gambe storte iniziarono a spezzarsi, lasciarono senz’ali il passerotto.
Morire povero e solo come un cane, unica amica la bottiglia, fu l’ultimo scherzo che Dio gli fece.